Sono tante le storie che si raccontano sullo sterminio avvenuto durante la seconda guerra mondiale, tante di queste sono adesso conosciute da tutti grazie a testimonianze e docufilm, altre di queste invece sono rimaste ignote. Ciò che renderebbe giustizia a tutte quelle vite interrotte sarebbe raccontare tutte queste storie. A questo ha contribuito nella conferenza del 23 febbraioLeo Limentani, figlio di una famiglia romana, che ha condiviso con gli studenti delle classi quarte e quinte del liceo A. Meucci di Aprilia la storia della sua famiglia. Suo nonno materno, Della Seta Leo, possedeva un negozio nei pressi della sede del partito spesso frequentato da Mussolini. Fu un uomo intelligente e colto e quella che ha raccontato Leo Limentani è stata un’intuizione che lo fece scampare ai campi di concentramento: prima del rastrellamento del 16 ottobre infatti il nonno materno, riuscì a far nascondere la propria famiglia, di tre figli, a casa di amici, in un convento e in un collegio, prevedendo il pericolo che avrebbero corso a breve distanza. La sua intuizione si rivelò infatti corretta perché quel fatidico giorno i tedeschi passarono anche a casa loro non trovando però nessuno. Si può quindi appurare che durante quegli anni di guerra il primo pensiero era sopravvivere, ma a riuscire in questo fu una percentuale bassissima che contribuisce tuttora a condividere la propria esperienza.

Tra le storie più tortuose vi è quella legata al nonno paterno. Quest’ultimo era un ufficiale dell’esercito italiano della prima guerra mondiale e proprio per questo motivo, quando uscirono le leggi razziali, non vide il motivo di preoccuparsi.
Al tempo, racconta, le sigarette si prendevano una volta a settimana attraverso una tessera ma questo comportava periodicamente una lunga fila per acquistarle. Suo nonno quindi, per evitare l’attesa, un sabato, si alzò prima del solito e grazie a questo, lungo il tragitto notò le camionette tedesche che quel 16 ottobre avrebbero rastrellato il ghetto di Roma. Avvisando la famiglia riuscì inizialmente a salvarli nascondendoli, così come aveva fatto il nonno materno, presso le case di amici. Da quel momento in poi però per quegli ebrei rimasti a Roma fu particolarmente difficile continuare a vivere come prima, soprattutto per il nonno paterno che faceva parte di una famiglia di ben 6 figli. Questo anche perché si doveva continuare a lavorare e sfamare la propria famiglia in un clima caratterizzato ancora da una forte tensione. Una mattina, il 16 marzo, suo nonno, uscendo come tutti i giorni per andare a lavorare, venne catturato da due italiani fascisti che lo consegnarono ai tedeschi presso il carcere di Regina Coeli, da cui uscì soltanto la notte tra il 23 e il 24 marzo. Il 23 marzo però avvenne anche un importante attentato di Roma, “l’attentato di Via Rasella”, in cui i partigiani uccisero 33 tedeschi provocando l’ordine di Hitler dalla Germania che prevedeva di uccidere per ogni tedesco 10 italiani. Il compito sarebbe stato quello di rastrellare 330 italiani ma si decise poi che a far parte di quel gruppo sarebbero stati anche quegli ebrei che sarebbero dovuti andare comunque al campo di concentramento.
Nella confusione generale alla fine ne furono uccisi 335 nelle Fosse Ardeatine e proprio suo nonno paterno finì con il fare parte di questi a soli 54 anni.
La tragedia per la sua famiglia non finì qui e l’8 maggio a causa di un’altra soffiata di due italiani fascisti, Leo Limentani racconta che suo padre e suo zio nonostante avessero tentato di nascondersi salendo sui tetti, sotto minaccia di catturare anche la madre e le sorelle, si fecero portare al carcere di Regina Coeli e dopo qualche giorno al campo di concentramento di Fossoli per poi dopo un mese, con un viaggio di sette giorni, arrivare ad Auschwitz. Tra le prime procedure suo padre e il fratello (suo zio) furono subito marchiati: il padre: A15769 mentre per il fratello: A15768 e racconta di come forse il fatto che il fratello di suo padre sia andato per primo sia dovuto a un tentativo di incoraggiare l’altro.
I racconti del padre gli hanno fatto capire come la realtà vissuta in quegli anni sia molto più tragica dei film e dei racconti stessi che, come spiega anche Primo Levi, non potranno mai essere rivelati pienamente. Durante la permanenza nel campo però suo padre si ammalò risultando essere al tempo stesso la sua fortuna. Fino al 27 gennaio del 1945 infatti vennero fatte le cosiddette “marce della morte” perché la guerra era ormai giunta al termine. Dello zio non si seppe più nulla e il padre invece con l’arrivo dei russi riuscì a risollevarsi riprendendo le forze. Tornò a Roma solo il 16 settembre del 1945.

Manzini Lucia 4S