La difesa dell’imputata aveva chiesto l’assoluzione, affermando che “Non voleva uccidere”. L’accusa: “Sapeva benissimo che abbandonando la figlia in quel modo la figlia ne avrebbe provocato la morte”. La nonna: “Dolore atroce, ma deve pagare”.
Alessia Pifferi abitava a Milano, in via Carlo Parea, nella zona sud-orientale della città. Giovedì 14 Luglio Alessia esce di casa per raggiungere il fidanzato nella sua casa a Leffe, in provincia di Bergamo, lasciando da sola a casa la figlia di 18 mesi, senza avvertire nessuno. Al fidanzato disse che la bambina era al mare con la sorella. Davanti ai giudici la donna aveva affermato che pensava di tornare a casa il giorno dopo, ma si trattenne quasi una settimana lontano da casa, tornando mercoledì 20 Luglio.

Cosa è accaduto? La vicenda e l’autopsia
Durante un’udienza aveva raccontato di essersi da subito accorta che la figlia non si muoveva; in seguito, cercò di rianimarla con un massaggio cardiaco, la portò in bagno per bagnarle i piedi e le spruzzò dell’acqua in bocca. Solo allora la donna si rese conto che la figlia era morta, quindi chiese aiuto a una vicina che chiamò i soccorsi. L’accusa è quella di omicidio pluriaggravato e con la possibile aggravante di premeditazione. E’ una condanna per cui, di norma, è previsto l’ergastolo. L’autopsia del corpo della bambina, Diana Pifferi, confermò la morte per disidratazione; sulla base dell’esame del capello, risulta che alla bambina erano stati somministrati benzodiazepine, cioè psicofarmaci che di norma vengono utilizzati per gestire gli stati d’ansia. L’accusa ipotizzò che la bambina fosse stata indotta in uno stato di torpore affinché non si lamentasse con il pianto. Altri esami rivelarono che nelle bottigliette d’acqua lasciate dalla madre erano presenti “composti di interesse tossicologico”.
La perizia psichiatrica
Durante un primo interrogatorio Alessia aveva rivelato che le era già capitato di lasciare la figlia da sola a casa per tutto il fine settimana, dal venerdì al lunedì. Un’amica di Alessia ha raccontato che una notte, invece di portare la bambina a letto con lei, l’aveva lasciata nel passeggino tutta la notte. La madre della bambina ha inoltre rivelato che la piccola era nata improvvisamente nel bagno di casa del fidanzato e che non sapeva di essere incinta, tantomeno chi fosse il padre. Nonostante la richiesta di una perizia neuropsichiatrica fosse stata già avanzata due volte nell’ultimo anno, la terza volta il giudice ha accettato. L’esame ha rivelato che Alessia abbia un quoziente intellettivo molto basso, di 40 punti, e che non sia quindi in grado di comprendere la sofferenza e le necessità altrui.
La condanna definitiva
Il 13 Maggio arriva la condanna definitiva: ergastolo, come aveva richiesto l’accusa; la sentenza di primo grado sottolinea la coscienza e la volontà della donna nel commettere il crimine. La nonna: “E’ un dolore atroce, si è dimenticata di essere mamma. Deve pagare per quello che ha fatto. Se si fosse pentita e mi avesse chiesto scusa… ma non l’ha fatto. Ora non riuscirei a dirle nulla”. A parlare è anche la sorella Viviana: “Penso che i giudici abbiano fatto quel che è giusto, perché per me non ha mai avuto attenuanti, non è mai stata matta o con problemi psicologici. Spero che adesso Diana possa volare in pace”. Il pubblico ministero ha raccontato di come la bambina è morta da sola, di fame e di sete, “dopo sofferenze atroci e terribili con un processo di progressivo indebolimento delle funzioni vitali”, mentre la madre era via con il compagno. “Pifferi avrebbe potuto contattare le forze dell’ordine, avrebbe potuto fare qualsiasi cosa per salvarla, ma ci viene a dire che non è tornata a casa a causa del compagno. Ci è venuta a dire che non è un’assassina: ma allora perché ha voluto sempre giustificare con tutti che la bimba non fosse sola in casa? Perché sapeva benissimo che è una cosa che non si fa, lo sa anche un bambino che è un comportamento gravissimo”.
Valentina Messari 4S