Cecilia Sala: ventuno giorni di prigionia nel carcere di Evin

Chi è Cecilia Sala e cosa è accaduto

Cecilia Sala, giornalista romana classe 1995, è stata arrestata il 19 dicembre mentre si trovava in Iran per lavoro. La sua detenzione si è svolta nel famigerato carcere di Evin, situato alla periferia di Teheran, noto per le dure condizioni riservate ai detenuti.

Dopo ventuno giorni di prigionia, è stata liberata l’8 gennaio 2025 e ha fatto ritorno in Italia. La giornalista ha raccontato la sua esperienza durante un’intervista a Fabio Fazio a «Che tempo che fa», fornendo un resoconto dettagliato delle difficili condizioni vissute.

Dove e come è stata arrestata

Sala è stata prelevata dalla sua stanza d’albergo mentre stava lavorando: «Hanno bussato e mi hanno portata via» ha raccontato. Una volta in macchina, le hanno incappucciato il volto e fatto abbassare la testa sul sedile. Nonostante fosse bendata, è riuscita a riconoscere la destinazione grazie al traffico e alla strada percorsa, rendendosi conto che stava per essere portata nel carcere di Evin.

La prigionia e le condizioni nel carcere

Nel carcere di massima sicurezza, Sala ha vissuto sia un periodo di isolamento che un momento di condivisione della cella con un’altra detenuta. «La prima cosa di cui abbiamo parlato è stato come capire che ora fosse» ha ricordato. Attraverso una piccola finestra sbarrata, cercavano di dedurre l’ora osservando i riflessi della luce. Durante gli interrogatori, che si svolgevano in inglese con un ufficiale che dimostrava una profonda conoscenza dell’Italia, le condizioni psicologiche venivano messe a dura prova: «In un interrogatorio sono crollata, e mi hanno dato una pasticca per calmarmi» ha spiegato.

Nel carcere, i rumori strazianti provenienti dalle celle vicine, testimoniavano il dramma delle altre detenute: «Sentivo una ragazza che prendeva la rincorsa per sbattere la testa contro la porta» ha detto. In isolamento, Sala cercava conforto pensando: «Alle cose belle della mia vita e al fatto che prima o poi le avrei riavute.»

Le comunicazioni con l’esterno

Durante la detenzione, le telefonate con il compagno Daniele erano un raro spiraglio di contatto con il mondo esterno. Nella prima chiamata, ha potuto rassicurare di non essere stata ferita. In quelle successive, nonostante i controlli severi, riusciva a trasmettere informazioni codificate.

«Gli ho detto di avere paura per la mia testa, temevo di perdere il controllo» ha confessato, raccontando anche di aver spiegato in codice che non aveva un materasso né un cuscino.

La negazione del Corano e il tentativo di sopravvivere

Durante la detenzione, Sala ha chiesto di poter ricevere una copia in inglese del Corano per ingannare il tempo, ma le è stata negata. Per far fronte all’isolamento e alla noia, passava il tempo leggendo gli ingredienti sulle confezioni degli alimenti o contando le dita delle mani.

La liberazione e il ritorno a casa

Il giorno della liberazione, la giornalista temeva inizialmente di essere trasferita in una base militare. Solo all’aeroporto militare, quando le hanno tolto la benda, ha visto un uomo italiano in abito grigio e ha compreso che era finalmente libera: «Ho fatto il sorriso più grande della mia vita» ha dichiarato.

Un’esperienza devastante, ma breve

Sala si ritiene fortunata per essere stata liberata in tempi relativamente brevi, sottolineando che la sua è stata: «L’operazione più rapida dagli anni Ottanta.» 

La giornalista, che conosce bene i casi di altri detenuti rimasti per mesi o anni in carcere, considera il recupero psicologico più agevole rispetto a chi ha subito detenzioni prolungate. Tuttavia, le ferite emotive sono ancora evidenti, anche se sta lentamente migliorando: «Adesso, aiutata, riesco a dormire», ha dichiarato la donna.

Arianna Testa 4^U

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